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Fare inclusione: l’esperienza della Pedagogia Clinica 

Riportiamo di seguito un estratto dell’intervento del Prof. Guido Pesci e della Prof.ssa Marta Mani in occasione di Didacta Fiera Italia (Firenze, 19 ottobre 2018) sull’esperienza della Pedagogia Clinica nel “fare” inclusione scolastica. Questa trascrizione dell’intervento si trova nel n°39 della rivista Pedagogia Clinica.

 

Pedagogia Clinica e Pedagogista Clinico®

 

Siamo qui a Didacta per sostare sulle linee di condotta del professionista Pedagogista Clinico® e dei suoi principi sull’inclusione nella scuola. Inclusione, un principio universale che ci deve accompagnare in ogni momento della nostra vita, in ogni momento della nostra relazione con gli altri, un principio che obbliga a tener conto di un rispetto costante verso l’altro e su cui si basa la Pedagogia Clinica.
Due parole per presentare la Pedagogia Clinica, scienza autonoma e distintiva che ho fondato nel 1974 e che trova nei principi e nelle prassi la specificità della professione di Pedagogista Clinico®. Il Pedagogista Clinico® è un professionista che può essere coinvolto nelle scuole di ogni ordine e grado integrando le prassi scolastiche con competenze specifiche tratte dai metodi e dalle tecniche della propria disciplina o altrimenti, uno specialista che opera su convenzione con cooperative, associazioni, istituzioni pubbliche e private, impegnato nell’inclusione in tanti momenti e per tanti soggetti che ne hanno necessità e che sono presenti in questa nostra realtà. Soggetti di pieno diritto a cui si vuole riconosciuto l’aiuto per garantire loro un nuovo equilibrio adatto per vivere positivamente scambi sociali.

 

Inclusione

 

“Inclusione”, non è un termine nuovo poiché lo ritroviamo nel Dizionario del Rigutini del 1875. Lo dico per toglierci l’idea che si stia inseguendo qualcosa di nuovo e di diverso; cambiano i nomi e gli appellativi, nei tempi più lontani erano idioti, tardivi, imbecilli, poi handicappati, e nel modo di accoglierli sono stati utilizzati i termini inserimento, integrazione ed oggi inclusione.
C’è da porsi il problema se l’inclusione è un obiettivo nuovo, se l’educazione lo persegue come nuovo. Forse come termine sì, ma non come finalità poiché già nel 1884 il Gonnelli Cioni sosteneva che

“La scuola è fatta per la generalità e deve badare specialmente e con particolare cura ai tardi, presentando loro la materia e gli esercizi in modo più semplice e facilmente assimilabili”.

Su questi principi si fonda la Pedagogia Clinica integrata da quanto sostiene il Vygotskij nel 1932 che afferma

“Non conformarsi all’opinione comune che l’allievo in difficoltà è un malato e con ciò ritenere che la terapia debba avere nella scuola il diritto di cittadinanza ed essere ritenuta insostituibile impronta al lavoro educativo con il rischio di vedere nell’allievo in difficoltà solo il deficit, solo l’aspetto patologico e non anche l’enorme riserva di salute”.

 

PAD: verifica e intervento 

 

Che cosa dovremmo fare? Rispondere ai bisogni educativi dell’allievo. Il problema è quali sono i bisogni dell’allievo, se sappiamo o non sappiamo leggerli, se sappiamo o non sappiamo poi adeguatamente intervenire per fronteggiarli e per vincerli. Allora l’obbligo è conoscere l’allievo, e ciò vale per ogni insegnante. 
Per conoscere l’allievo nella sua globalità occorre osservare e verificare le Potenzialità, le Abilità e le Disponibilità (PAD); un orientamento che i pedagogisti clinici perseguono. PAD non sono né misura né quantità, si tratta di un’analisi complessa che mette in condizione di conoscere ogni aspetto di una persona che pur in difficoltà ha il diritto di vivere una ricreazione che gli garantisca la possibilità di sviluppare ogni proprietà personale e godere di ogni successo.
Possiamo continuare dicendo che agire per favorire Potenzialità, Abilità e Disponibilità porta con sé il principio già dichiarato di rivolgersi alla globalità del soggetto per stimolare positivamente ogni sua capacità organizzativa e dichiarativa. Questo significa che non possiamo perseguire programmi che vedono l’allievo immobile, fermo davanti a un monitor o davanti ad una scheda, compensato con ciò solo per l’occhio che guarda e per l’orecchio che ascolta, a fare movimenti minimi che, non stimolando la propriocezione, impediscono ogni informazione. Sono esercizi che nel ripetersi rischiano l’ammaestramento e nell’insoddisfazione dovuta all’immobilità frenano ogni più sicura crescita. Noi sosteniamo che a questi allievi invece occorra fare esperienze che come vuole la Pedagogia Clinica, implichino la relazione, l’emotività e l’affettività, cioè performance che sono arricchite del patrimonio presente nella globalità e non nella settorialità perseguita da esercizi.  
Per un intervento di aiuto indirizzato all’inclusione occorrono metodi, tecniche e strumentari che vanno ben oltre degli  ausiliari addestrativi. Il Pedagogisti Clinico® assolve a queste attenzioni offrendo esperienze necessariamente diverse da un soggetto all’altro e soddisfare le necessità di ciascuno, sapendo che quel bambino Giovanni che non legge bene non è uguale alla bambina Maria che non riesce ugualmente a soddisfare una buona decodifica scrittoria. Ciò porta in attenzione e al rispetto dell’intervento individualizzato che non può intendersi realizzato per mezzo di esercizi né tantomeno di schede ripetute e ripetitive. Ciò che occorre a ciascuno è l’opportunità di godere di stimoli ricchi e vari che garantiscono una molteplicità delle conoscenze con il piacere di sperimentare cose nuove, soddisfare il bisogno di esplorazione e coltivare attitudini e interessi. 
È l’attivazione di tutti i canali informatori che permette all’allievo di sentirsi bene e sicuro di se stesso, disponibile a scoprire ed arricchire potenzialità e dare prova, in un clima di fiducia, di saper vivere in uno stato di armonia e di motivazione ad apprendere.

 

Conclusioni

Questi sono solo alcuni flash per concretizzare e dare consistenza su come muoverci per dare all’allievo la certezza nel suo procedere con successo, e all’insegnante stimoli alla riflessione perché possa trovare nello stare in relazione con l’allievo la disponibilità ad accoglierlo esaltando ogni sua caratteristica positiva che lo distingue, coerente con i principi dell’inclusione.

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