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DSA Disturbi Specifici di Apprendimento: un aiuto concreto

L’articolo, a cura del Dott. Simone Pesci, della Dott.ssa Valentina Benoni Degl’Innocenti e del Dott. Guido Pesci, è apparso nel numero 8 della rivista specializzata Nuovi Orizzonti. Gli autori affrontano il tema dei DSA ed espongono un modello di diagnosi psicologica per ottenere una valutazione accurata della persona e progettare un intervento clinico adeguato, suggerendo una modalità diagnostica non orientata alla ricerca del deficit, ma una valutazione capace di descrivere, tra gli altri aspetti, anche le caratteristiche funzionali.

 

DSA: Disturbi Specifici di Apprendimento

 

I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. La macro-categoria dei DSA raggruppa disturbi quali:

  • la dislessia, che si caratterizza con una difficoltà nella lettura, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, nella correttezza o nella rapidità;
  • la disgrafia, disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica;
  • la disortografia, disturbo specifico di scrittura che si concretizza in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica;
  • la discalculia, che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri (Legge 170/2010)

I DSA vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione e al livello di intelligenza (APA, 2000).
In presenza di un Disturbo specifico, così come, di una difficoltà negli apprendimenti curriculari, l’insegnante ha un ruolo fondamentale, che nasce dalla conoscenza del soggetto e dalla finalità di operare un’azione pedagogica personalizzata. Tuttavia, impegnato com’è in un ruolo educativo rivolto ad una pluralità, può non essere sufficiente al recupero delle difficoltà: è consigliabile, pertanto, affiancare al lavoro dell’insegnante un intervento clinico, il quale sarà tanto più efficace quanto più precoce.

 

La diagnosi specialistica

 

Per quel che riguarda il processo diagnostico Gergen, Hoffman e Anderson (1996) in disaccordo con l’utilizzo delle classificazioni nosografiche, si chiedono se la diagnosi tradizionale non sia un “disastro”, argomentando, all’interno di un loro articolo, che definire una persona attraverso una etichetta diagnostica comporta costruire la persona attraverso quella definizione e, cosa forse anche più grave, che la persona, percependosi essa stessa nei termini di quella etichetta, non riesce a costruirsi in altri modi, non trova soluzioni alternative. La diagnosi nosografica, proseguono gli autori, può essere considerata una forma di potere esercitata non del tutto consapevolmente in nome della scienza. Sulle classificazioni si era soffermato, molti anni prima, anche Vygotskij (1930) che le definisce “elenchi”, frutto di una vecchia impostazione di tipo statistico e puramente quantitativo, contrarie ad una nuova concezione dinamica che riveli i complicati meccanismi attraverso i quali si vengono a formare le “turbe” del comportamento e indichi la via per modificarle.
La scuola, conformatasi all’opinione comune che il soggetto in difficoltà è un “diverso”, ha spesso innescato una divisione anticipatoria e indiscriminata fra soggetti capaci e incapaci, avvalendosi di etichette classificatorie che decidono le sorti della personalità di coloro ai quali sono applicate (Vygotskij, 1986). Occorre fare chiarezza pertanto tra impegno educativo/riabilitativo e definizioni nosografiche, tra partizione tipologica e dimensione prescrittiva, per agire nel rispetto delle Potenzialità, Abilità e Disponibilità (PAD): ciò richiede uno studio dinamico che aiuti a formulare una definizione positiva della persona, percepire la sua originalità qualitativa, apprendere dalle difficoltà e dai disagi, per interpretare la struttura interna della persona determinata da essi, in un’analisi dei bisogni necessaria a originare suggerimenti operativi e propositivi (Pesci, 2011).
La diagnosi specialistica, nei casi di DSA, può coinvolgere una pluralità di professionisti che, per prima cosa, hanno il compito di assicurarsi se siano o meno presenti deficit sensoriali o neurologici tali da compromettere le funzioni specifiche sottese alla lettura, alla scrittura e al calcolo. Un processo diagnostico ben condotto, a seguito di questa prima analisi, può così articolarsi in un primo incontro nel quale si procede all’analisi della domanda e vengono raccolte le informazioni anamnestiche; successivamente, in ulteriori sessioni, si prosegue con gli approfondimenti necessari per comprendere quali sono le risorse e le difficoltà della persona, le sue competenze psicomotorie e le caratteristiche personologiche e psicorelazionali. Ciò non può prescindere dal fare una valutazione cognitiva adeguata, uno studio che però non si fermi al solo “livello” intellettivo, ma che consideri le peculiarità dell’intelligenza o, meglio, delle intelligenze. Infine, occorre valutare le competenze nella lettura, nell’ortografia, nel controllo del gesto tracciante e nell’elaborazione logico-matematica.
Tutto il processo diagnostico, tuttavia, non può e non deve essere finalizzato a “scovare” il disturbo, ad etichettarlo con un nome piuttosto che con un altro, ma dovrebbe descrivere un’ipotesi transitoria e transitiva delle caratteristiche dell’individuo che presenta difficoltà negli apprendimenti curriculari (Pesci, 2006). Ciò darà la possibilità di predisporre un intervento fondato sulle specificità dell’altro, un aiuto che non potrà essere settoriale (cioè orientato al singolo elemento problematico) né statico, cioè fatto al banco, con schede pre-costituite o con esercizi ripetuti e ripetitivi, ma che dovrà essere un percorso orientato alla gestalt della persona, realizzato in uno spazio più ampio in situazioni dinamiche di scambio (Pesci, Benoni Degl’Innocenti, Mani e Pesci, 2009).

 

Dentro la diagnosi

 

Le insufficienze e le inadeguatezze ad apprendere possono presentarsi in gran numero, con molteplici sfaccettature ed essere spesso associate, con effetti conseguenti di mortificazioni e cadute dell’autostima. All’attenzione dello specialista possono presentarsi, ad esempio, soggetti che dimostrano difficoltà negli adempimenti del calcolo, nel lasciare traccia segnica, che sono ostacolati nel rispettare le regole grammaticali nello scrivere o sono insufficienti nella decodifica scrittoria (Pesci et al., 2009). L’analisi delle potenzialità, abilità e disponibilità ci permetterà di capire se ci si trova o meno di fronte a persone con difficoltà a indicare verbalmente termini e relazioni matematiche, da imputare ai canali sensoriali o motori verbali, a disordini elocutori e mnestico-verbali. Altri individui possono palesare disagi nel vivere con il proprio corpo i valori del pensiero logico-matematico, soggetti che manifestano disordini nella coordinazione dei movimenti bilaterali, dello schema corporeo, sincinesie, difficoltà nella manipolazione di oggetti e impacci motori, oppure che hanno impedimenti nell’enunciazione, nella presentazione o nell’illustrazione delle proprietà degli oggetti, nell’estimazione delle quantità, nell’apprezzamento di distanze, nella distinzione destra/sinistra, nell’acquisizione delle nozioni di conservazione delle qualità e quantità fisiche, nonché nel mancato controllo delle nozioni di interiorità/esteriorità, che li porta a confondere perimetro, superficie e volume (Pesci e Mani, 2011).
Tra le tante e diverse manifestazioni di inadeguatezza potrà essere presente anche quella nell’eseguire le operazioni matematiche legata al ragionamento operazionale numerico, che si concretizza in impacci nel mettere a profitto le esperienze acquisite e ad afferrare il contenuto logico delle operazioni di calcolo. Sono soggetti che preferiscono fare calcoli scritti anche quando potrebbero farli a memoria o con le dita, scambiano le operazioni, addizionano invece di moltiplicare o sottraggono invece di dividere (Pesci e Pesci, 2010).
Si possono inoltre registrare difficoltà nella produzione e comunicazione segnica espressa in ogni occasione di lasciare traccia, ovvero sull’evoluzione dei tracciati omolaterali ed eterolaterali, sull’estensione percettiva del tracciato, sulle capacità di controllo del flessore del pollice, sui tracciati lenti realizzati sul posto, sul tracciato del cerchio chiuso, sull’irraggiamento e i segmenti concatenati, sulla doppia rotazione in un movimento continuo per la produzione di curve, arabeschi, spirali, sul tracciato del quadrato e dei cerchi tangenti ecc. (Pesci, 1994). Nella diagnosi non può mancare l’osservazione delle espressioni grafiche, l’annotazione delle deformazioni delle linee, delle insufficienze nella sequenzialità e nelle proporzioni, dell’inadeguatezza del tracciato segnico e della tipologia dei tracciati: stentato, rigido, allentato, impulsivo ecc.. Dimostrazioni che un individuo offre di sé per denunciare la presenza di possibili difficoltà oculo-manuali, nell’inseguimento dell’occhio, nella strutturazione spaziale, nel controllo tonico, posturale, scarsa abilità organizzativo-ritmica, inadeguatezze nella prensione e pressione, nella abilità rotatoria della mano ecc. Tutto ciò si somma ai disagi socio-affettivi, alle disarmonie reattive, alle frustrazioni, all’instabilità psichica con possibili eccessi comportamentali. Un documentario diagnostico testimone di una persona che, nel lasciare traccia, svela il testo della sua soggettività, le sue debolezze, le sue aspirazioni, i suoi pensieri e chiede di essere riconosciuta (Pesci, 1994).
Il soggetto che sbrigativamente si indica come “disortograficopuò rivelare di non avere acquisito competenze nel dettato di suoni, di parole, di proposizioni semplici e composte, nell’autodettato ecc. Ciò obbliga ad osservare il repertorio semiotico di relazione esposto nella comunicazione non verbale, senza trascurare ogni altro aspetto psicoemozionale o cause da rintracciare nel pauperismo ambientale e nell’inadeguatezza educativa (Pesci, 1989; Cornoldi, 2007; Pesci et al., 2009).
A questi disordini è frequente che si associno difficoltà nella lettura la cui analisi può portarci in presenza di persone con problemi di conversione grafema-fonema, deficit morfologici (segmentazione, manipolazione dei suoni), povertà nella memoria a breve termine e con un naming automatico lento, deficit nella percezione dei suoni brevi o che variano rapidamente, nella discriminazione di frequenza e nel giudizio dell’ordine temporale, oppure fissazioni binoculari instabili e povertà nella convergenza ecc. (Cornoldi, 2007; Pesci e Pesci, 2010).

 

L’intervento clinico

 

Tutte le sfaccettature sopra descritte, che rappresentano solo alcune delle possibilità cui un professionista può trovarsi di fronte, come si vede, stanno strette in una etichetta nosografica e sono frutto di un approfondimento diagnostico attento e dettagliato, necessario alla definizione di un progetto clinico personalizzato. Quindi, dopo aver formulato una diagnosi meticolosa, sarà possibile predisporre un intervento che non trascuri ogni aspetto emerso e che si rivolga alla persona piuttosto che al deficit. A titolo informativo, senza la pretesa di essere esaustivi, si riportano metodi e metodologie che possono sostenere il professionista della salute nella sua azione di recupero.

 

Disgrafia e Disortografia

 

Mantenendo vivo il rispetto della globalità, per aiutare i soggetti nei loro processi di apprendimento verso l’efficienza grafo-segnica e codificatorio-scrittoria, possono essere tenuti presenti per esempio i metodi Olivaux, Denner, Martenot, Bon Départ, Prismograph e Rieu (Pesci, 1989; 1994; Pesci et al., 2009).

Il Metodo Olivaux (Olivaux, 1960; 1993), in particolare, si propone di sviluppare la distensione, l’elasticità, il ritmo, il rimodellamento del gesto e l’organizzazione ritmico-respiratoria per mezzo di esperienze gestuali e grafiche. Le esperienze proposte dal Metodo Olivaux sono finalizzate al recupero della velocità, ad un diverso uso della pressione e al rispetto di una respirazione ritmata. Viene chiesto al soggetto di organizzarsi nella inspirazione ed espirazione secondo un modello dato (Pesci, 1989; 1994).

Il Metodo Denner (Denner, 1967; 1980) si propone di sviluppare l’espressione arcaica e simbolica del messaggio grafico, l’educazione grafo-motoria del gesto, la dinamica sociale e culturale attraverso esperienze pittografiche che vengono distinte in esperienze di distensione; esperienze di allungamento delle linee rette ed esperienze di curvilinee.

Il Metodo Martenot (Bonistalli e Pesci, 1974) offre, invece, al soggetto l’opportunità di liberare i gesti, di dosarli e scoprirne l’intensità di pressione. Ogni attività richiede la contemporaneità del contributo organizzativo-respiratorio e della costruzione in stabilità posturale, oltre ad offrire l’occasione di dare figurazione al movimento rotatorio delle braccia. Le esperienze previste dal Metodo Martenot si propongono lanci bimanuali diversamente orientati passanti per un punto dato, oscillazioni delle braccia con movimenti coordinati e dissociati, oscillazioni braccio-gamba destra, braccio-gamba sinistra o incrociati, rotazione del braccio con pernio sulla spalla, dopo avere fatto esperienze di alzata-caduta per vincere le tensioni.

Il Metodo Le Bon Depart (Pesci, S. 2011) è studiato per liberare il soggetto dai disordini nel lasciare traccia, causati da eccessi tonici, da una scarsa definizione della lateralità, dall’inadeguatezza nell’orientamento, dalla scarsa conoscenza del proprio asse corporeo, da disagi emotivi e di adattamento. Prevede l’utilizzo di cuscini di sabbia per vincere le contrazioni delle mani e delle dita, esperienze ritmiche e gestuali, per raggiungere una abilità segnica di 27 figure geometriche complesse.

Il Metodo Prismograph (Pesci e Mani, 2001) offre l’opportunità di vivere il proprio corpo, conoscerlo e riconoscerlo, rappresentare il vissuto tonico-emozionale, affinare abilità senso-percettive e organizzativo-cinetiche in un clima in cui è possibile narrare i giochi dei propri pensieri, avere garantita la trasmissione dei propri desideri e delle proprie paure, liberarsi dai sentimenti repressi.

Il Metodo Rieu (Rieu, 1979) si propone di far apprendere abilità distributivo-spaziali, ritmiche e figurative con esperienze da attuare in atelier realizzate secondo le immagini che vengono esposte: spostamenti nello spazio, ordine simmetrico delle posizioni, percorsi per conseguire i simboli alfabetici ecc.

Oltre a questi e tanti altri metodi, il professionista può avvalersi della prassi operativa desunta dalla Psicomotricità Funzionale di Jean le Boulch (Pesci, G., 2011) che, attraverso un’azione educativa che parte dai movimenti spontanei e dalle personali attitudini corporee, aiuta ad assicurare uno sviluppo funzionale ed emotivo-relazionale per vincere ogni disagio nell’esposizione di sé attraverso il segno ed ogni difficoltà nel realizzarlo.
Gli interventi clinici, qualunque sia il modello o il metodo preso a riferimento, devono vincere ogni impaccio appercettivo e motorio, gestualizzazioni improprie e inibite che condizionano il significato del movimento, per giungere alla capacità di organizzazione nello spazio e nel tempo (Bucher, Le Boulch, Lunay e Gueritte, Pesci, Berges), per migliorare il linguaggio gestuale e posturale connotato da ordine e struttura mediante gesti che radunano, separano, allineano, scelgono, classificano e organizzano. Linguaggi che nel rappresentarsi graficamente e cromaticamente provocano eccitazioni pitto-grafo-figurative, una vasta gamma di sollecitazioni, di vissuti esperienziali corporei e emotivo-affettivi (Pesci e Mani, 2011). Altre esperienze devono indirizzarsi a far assaporare la forza, l’impeto, il dosaggio dell’aggressione, la pressione, a vivere, rianimare e raggiungere una tonicità muscolare contemporaneamente alla maturazione di un dinamismo respiratorio, a sentirsi nello stazionamento sul proprio asse corporeo, definire la propria semiassialità, giungere alla definizione di sé e del proprio Punto Egoico (Pesci et al., 2009).
Prima ancora, tuttavia, di rivolgersi a interventi mirati sarà necessario uno sviluppo delle abilità di base come il conoscere e manipolare oggetti e gruppi di oggetti, risvegliare la tattilità delle mani e delle dita (Camusat, Leopold, Pesci), riconoscere e mettere in corrispondenza la proprietà degli oggetti, classificare, ordinare, seriare, promuovere esperienze di relatività (Karplus), fare giochi di strutturazione corporea nello spazio, spostamenti, itinerari, percorsi, direzionalità, curve, cerchi chiusi e aperti (Rieu), sperimentare il rapporto tra colori, forme, orientamento, apprezzamento di uguaglianze e ritmo (Papy), scoprire le collocazioni e le relazioni, il confronto, il gioco delle differenze e dei contrasti (Prignot) (Pesci, 1989).

 

Dislessia

 

Per soddisfare le esigenze della persona con disturbi nella lettura i metodi e le tecniche utilizzabili sono in gran numero e in grado di superare gli effetti ritardanti o ostacolanti, suggerimenti tecnico-metodologici come la “fonetica impressiva”, la lettura dei segni immaginifici, le unità significative universali figurate, i suoni alfabetici come immagini sonore, la visualizzazione dell’astratto, l’educazione figurativa e l’organicità musicale nella formazione del rigo (Pesci et al., 2009; Pesci e Mani, 2011).
In letteratura, espressamente mirati ad ottenere miglioramenti funzionali specifici, si rintracciano trattamenti percettivo-motori, che prevedono esercizi di discriminazione visiva al fine di favorire lo sviluppo di pattern motori che stanno alla base della motricità grossolana; trattamenti  linguistici generici che, attraverso esercizi di lettura, scrittura, ricerca e correzione di errori, composizione e scomposizione di parole mirano allo sviluppo della meta-fonologia; trattamenti lessicali che prevedono la presentazione tachistoscopica di parole; trattamenti sublessicali e lessicali, basati su esercizi per favorire l’automatizzazione nel riconoscimento di gruppi di grafemi linguisticamente rilevanti sempre più complessi, come le sillabe. Oltre a questi il Metodo Davis-Piccoli propone esercizi per la rilevazione rapida delle parole, esercizi di discriminazione spaziale dei grafemi e altri per lo sviluppo delle abilità di sintesi fonetica; mentre il Modello Balance si ispira al metodo Bakker e è strutturato sulla stimolazione dell’emisfero ipoattivato presentando parole nell’emicampo opposto (Mogentale e Chiesa, 2009).
Un ulteriore tipologia di intervento (Mogentale e Chiesa, 2009) combina un protocollo clinico di tipo neuropsicologico ad uno di tipo sublessicale: elementi fondanti di questo tipo di azione di recupero sono il potenziamento delle abilità di memoria visuo-spaziale tramite esperienze che implicano il lavoro sulle immagini mentali come ad esempio le rotazioni e le simmetrie; il potenziamento della capacità di memoria a breve termine e di lavoro verbale; il potenziamento delle capacità di attenzione selettiva e sostenuta, tramite esercizi i di attenzione divisa, resistenza alla distrazione, attenzione selettiva visiva e uditiva, barrage ecc.; la progressiva automatizzazione nella decodifica attraverso la presentazione tachistoscopica di grafemi/fonemi, di sillabe ecc., l’analisi e la sintesi fonemica e sillabica, il completamento di parole in cui mancano una o più lettere ecc.
Unitamente a questi, si aggiungono sempre di più metodologie che usufruiscono delle potenzialità dei software per supportare gli interventi neuropsicologici, lessicali e sub lessicali (Tressoldi e Vio, 2011; Allamandri et al., 2007).
Altri metodi, come riportato in Brotini (1986) e in Pesci (1993), possono inoltre favorire le abilità di decodifica scrittoria:

Il Metodo fono-mimico Borel-Maysonny (Borel-Maysonny, 1966), basato sull’utilizzazione di gesti intermediari, sullo sviluppo del linguaggio orale e sulle abilità di decodifica.

Il Metodo della lettura in colori Caleb Gattegno (Gattegno, 1966) che utilizza gli effetti cromatici come intermediario, basato soprattutto sull’apprendimento e l’interiorizzazione dell’ordine temporale, delle sequenze spaziali e dei rapporto tra elementi.

Il Metodo Chassagny (Chassagny, 1963; 1968) che prevede attività combinatorie di riconoscimento delle strutture linguistiche, ricerca nell’ambito delle parole ecc., considerando strettamente connessi linguaggio orale e espressione scritta.

Il Metodo Delacato (Delacato, 1980), basato soprattutto sulla monolateralità, sulle esperienze di sviluppo senso-percettive e motorie e sui processi di memorizzazione.

Il Metodo Tomatis (Tomatis, 1980), basato essenzialmente sull’audizione, nel senso di ascolto, comprensione, registrazione, integrazione, e sulla lateralizzazione.

Il Metodo di lettura verticale di La Spisa e Sartori (La Spisa e Sartori, 1979), fondato sull’ipotesi che le difficoltà di lettura sono da attribuirsi ad un malfunzionamento dei processi di memoria a carico del rallentato immagazzinamento delle immagini. Tale metodo si dedica primariamente al perfezionamento visivo e successivamente alla lettura verticale vera e propria.

Il Metodo Mucchielli-Bourcier (Mucchielli e Bourcier, 1974), orientato al decondizionamento, al progressivo perfezionamento della relazione spazio-temporale, al perfezionamento dei processi simbolici, fino alla ristrutturazione delle relazioni sociali.

 

Discalculia

 

Alcune delle esperienze sopra descritte, come è facile intuire, hanno un effetto positivo anche per chi presenta disturbi nel calcolo, ma altre metodologie, più specifiche, possono però essere prese in esame quale riferimento per interventi su soggetti con discalculia.
In accordo con Brodini (1986) il trattamento delle discalculia dovrebbe essere orientato a “far ripercorrere le tappe mancate dello sviluppo delle abilità sottostanti” (p. 157), rendendo a tal scopo necessario il ritorno all’esperienza concreta su oggetti e immagini, per quella che si configura essere una “matematica senza numeri”. Solo dopo aver fatto queste esperienze sarà possibile far acquisire le regole e i procedimenti aritmetici per poi generalizzarli alle più svariate situazioni. Un intervento finalizzato a migliorare le abilità nel recupero di fatti aritmetici, appunto, deve tenere in considerazione l’attivazione di processi semantici e di ragionamento legati alle conoscenze numeriche e di calcolo così come l’automatizzazione basata sull’esposizione ripetuta nei diversi contesti. Caobelli et al. (2006), per il trattamento delle difficoltà nel recupero dei fatti aritmetici, propongono un training mirato all’attivazione di processi semantici e di ragionamento legati alle conoscenze numeriche e di calcolo coadiuvato da una seconda fase di automatizzazione basata sull’esposizione ripetuta nei diversi contesti per la stabilizzazione delle informazioni in memoria. Secondo Ripamonti Riccardi et al. (2008) il trattamento della discalculia deve comprendere esperienze tese a consolidare e interiorizzare il concetto di quantità e gli strumenti alla base delle operazioni di calcolo mentale. In particolare, attraverso l’utilizzo di materiali stimolo quali Torri da 1 a 10 elementi costruite con i mattoncini, Carte raffiguranti le torri stesse ecc., è possibile consolidare, interiorizzare e potenziare le competenze quantitative, raggiungere la padronanza del codice per la transcodifica numerica, far acquisire la capacità di scomporre il numero lavorando sulle quantità, sviluppare capacità di quantificare (subitizing) per il calcolo mentale veloce e permettere al soggetto l’organizzazione delle quantità in un quadro di riferimento su cui collocare gli elementi da contare. A questi primi obiettivi si somma in un secondo tempo un lavoro maggiormente orientato a consolidare e automatizzare le abilità acquisite nella prima fase, sviluppare competenze di calcolo complesso, suggerire e promuovere l’uso di strategie diversificate secondo il compito e allenare alla previsione, alla pianificazione e al monitoraggio (Ripamonti Riccardi et al., 2008).
Come sostengono Pesci e Pesci (2010), l’aiuto specialistico non può limitarsi a protocolli per la stimolazione sensoriale, con particolare riferimento alla percezione di forme nella diversa struttura spaziale, ma occorre favorire la percezione dello spazio euclideo; garantire percezioni e sensazioni di grandezza in ordine cre­scente e decrescente; fare esperienze su base temporo-spaziale con oggetti; fare esperienze di numerazione progressiva e regressiva; esercitarsi in astrazioni del concetto di quantità e di rapporto tra queste e il numero o la cifra quale simbolo rappresentato; fare esperienze sui rapporti tra gruppi quantitativi (composizioni e scomposizioni di quantità e struttura delle diverse grandezze quantitative); proporre calcoli con oggetti concreti, con realtà figurate, con simboli e numeri; proporre ripetuti calcoli orali e facili quesiti aritmetici; chiedere di fare esperienze di misurazione ecc.
Gli stessi autori (Pesci e Pesci, 2010) riportano una rassegna degli interventi proposti da diversi studiosi in ambito psicologico e pedagogico. Tra questi il Metodo Audemars (1972) suggerisce esercizi sulle percezioni di grandezze, sulle seriazioni, sui rapporti tra gruppi quantitativi ed esercizi di composizione e scomposizione di quantità; il Metodo Montessori (Montessori, 1971) propone, ad esempio, esercizi con i “fuselli” e le “marchette”; Cervellati (Cervellati, 1968) ha indicato l’utilizzo delle forme rappresentative favoleggianti; mentre il Metodo Rovigatti (Rovigatti, 1966; 1971) propone dei modelli per esperienze di sovrapposizione, costru­zione di cifre, ricerca di cifre con diversi caratteri tipografici, oltre all’uso di asticciole per consolidare il rapporto fra numero e quantità che anticipano i segni delle quattro operazioni.

 

Conclusioni

Da questa articolata rassegna, per niente esaustiva né tantomeno definitiva, è facile comprendere come vi siano numerose possibilità per coloro che si trovano ad avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento specialmente se i professionisti non si limitano ad una diagnosi classificatoria del deficit, finalizzata, nella maggior parte delle occasioni, al solo dépistage in percorsi differenziati o facilitati, ma si indirizzano a progettare un piano di recupero che tenga presente la globalità della persona. Un intervento, quello dei professionisti, che non può accontentarsi di risultati quali scaturiscono dalla valutazione prima-dopo della velocità e della correttezza nella decodifica o nella codifica né alla comparazione dei tempi di elaborazione del sistema di produzione di calcoli: la persona chiede di essere presa in carico in senso complessivo, accompagnata in un processo di crescita e di sviluppo, dove gli apprendimenti non sono che una parte, seppur rilevante, di un tutto.

 

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