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Come aiutare un soggetto con diagnosi di Disprassia

Il Dott. Lapo Zoccolini, Psicomotricista Funzionale e docente della Scuola Jean le Boulch racconta di un intervento psicomotorio funzionale in presenza di Disprassia.

 

Un bambino e la sua Diagnosi motoria

 

Stefano è un bambino di 7 anni a cui all’età di 5 anni è stata fatta diagnosi di Disprassia motoria (Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria ICD10).
La sua evoluzione è stata lenta e caratterizzata da “ritardi” sia nell’acquisire gli automatismi di base (seduta, gattonamento e locuzione, la deambulazione è iniziata intorno i 20 mesi), sia nel linguaggio verbale che si è manifestato con suoni gutturali, vocalizzi e tre parole (mamma, pappa, nanna) fino ai 3 anni. Ritardi che non hanno destato particolari preoccupazioni perché comunque il bambino si pronunciava come un bambino presente, vivace e partecipe. Ma persistendo i ritardi, ai 5 anni su richiesta del pediatra, sono stati fatti tutti gli accertamenti clinici e da qui la diagnosi.
Emergono anche interessanti note della sua crescita che mi vengono riportate dai genitori e condivise dal pediatra, che si erano accorti che il bambino non rotolava quando era disteso, che non allungava le braccia per essere preso in braccio, e che “non faceva nulla” con le mani, si faceva imboccare, non si vestiva e non si lavava, non stringeva, non tirava. Questi atteggiamenti espressi anche con note oppositive (“tutti alle sue dipendenze”) sono andati sempre più a peggiorare specie da quando Stefano ha iniziato ad andare alla scuola dell’infanzia dove gli insegnanti con maggior determinazione e pazienza provavano a mettere in atto i passi necessari per la conquista di una maggior autonomia.

 

L’analisi Psicomotoria Funzionale

 

Quando Stefano è giunto allo studio è stata necessaria una Analisi Psicomotoria Funzionale che ha richiesto diversi incontri e che mi ha permesso di evidenziare che il suo linguaggio verbale era espresso foneticamente corretto e ricco di vocabolario e di sintassi, ma era caratterizzato da una forma cantilenata e da un tono di voce assai basso.
La sua motricità invece presentava ancora notevoli impacci, non riusciva a mantenersi in equilibrio, erano presenti varie sincinesie, privilegiava la postura semidistesa, non riusciva ad organizzare tre movimenti concatenati, il salto non veniva realizzato con innervamento alla spinta, non lanciava la pallina con una sola mano e la mancanza di forza nel lancio faceva cadere la pallina dinanzi al bambino, non innervava tono nelle azioni di trazione e di spinta, non distribuiva in maniera equa la sua forza, quindi aveva dispendi energetici notevoli, la presa dello strumento tracciante era debole e di conseguenza debole era il tracciato sul foglio, e la rappresentazione dell’ “omino” si caratterizzava di pochi elementi essenziali, con testa attaccata al tronco e braccia e gambe filiformi, inoltre si stancava facilmente in ogni attività che veniva proposta seppur offerta per via ludica.

 

La Psicomotricità Funzionale e la Disprassia

 

Abbiamo già detto (leggi La Psicomotricità Funzionale incontra la Disprassia) che Jean Le Boulch in Psicomotricità Funzionale inserisce la prassia in un processo di aggiustamento cognitivo che implica tre passaggi:

  1. la pianificazione dell’atto (cosa fare)
  2. la programmazione (come fare)
  3. l’esecuzione (il fare).

Si tratta di una maturazione neurologica di varie coordinazioni dei movimenti di settori corporei in cui la regolazione tonica e l’organizzazione dinamica motoria sono determinanti l’efficacia di un atto. Ma abbiamo anche detto che una tra le funzioni psicomotorio funzionale indispensabile ai risvegli è la funzione energetico affettiva e poiché Stefano si dimostrava un bambino solare, disponibile alla relazione e curioso non ho mancato di tenere conto proprio di questa potenzialità per iniziare con lui l’intervento che si sta tuttora realizzando, ma che ha già dato i suoi primi frutti a distanza di tre mesi.

 

Stefano e l’intervento psicomotorio funzionale

 

Individuate le carenze nello sviluppo dello schema corporeo, processo dal corpo subito, vissuto, percepito e rappresentato (Le Boulch e de Ajuriaguerra) che non ha consentito a Stefano di garantirsi gli automatismi di base, come ad esempio il correre e il saltare – che invece il bambino tentava di fare, ma non riusciva ad organizzarsi nei movimenti e negli spostamenti – e il processo di interiorizzazione, è stato indispensabile appellarsi ad esperienze sulla percezione del proprio corpo, sulla funzione di aggiustamento globale, sull’attivazione e regolazione tonica e respiratoria. È importante lavorare a livello di organizzazione del tono di base e sul controllo tonico poiché consente di passare da un aggiustamento impulsivo ad uno controllato.
E questo per Stefano è stato il primo impegno operativo vissuto in dinamica con me stando a terra, due corpi in continua instabilità lottando contro la gravità, due corpi stimolo di vibrazioni, di energie, di forze contrapposte, accompagnate da gesti, movimenti ritmici e originati dall’insieme dei miei movimenti associati ai suoi, spesso imitati dal bambino. Stefano si è trovato in una situazione di ambiente senza giudizi, né sotto richiesta di performance, in cui il suo esprimersi spontaneo ha generato piacere e intenzionalità tanto da riuscire a portare avanti il suo apprendimento per tentativi e errori, rinforzato dal linguaggio verbale che sappiamo ne consolida l’azione. Ogni esperienza così vissuta ha trovato immancabilmente riscontro tramite la funzione energetivo-affettiva, nelle strutture limbiche andando ad ampliare il bagaglio affettivo-esperenziale di vissuti positivi; senza dimenticarmi di tutta l’attività sull’espressività tonematica della voce per le parole espresse in monotono e cantilenate e della mimica facciale (gruppi muscolari), altro importante canale in cui gli occhi per lo sguardo e la bocca si arricchiscono di valore comunicativo ed affettivo. Un altro aspetto di cui ho tenuto grande considerazione è stata la lentezza dei movimenti e lo sguardo che li insegue poiché è indispensabile garantire ogni possibile traccia in memoria del vissuto propriocettivo, cinestetico, gestuale e di coordinazione. Un fare lento e un rifare lentamente potenzia la tonicità, fa sentire il peso di quella parte corporea che si muove, lo spostamento e la direzione nello spazio aereo, l’innalzamento o l’abbassamento sull’asse, “sentirsi” a questi livelli significa percepirsi, e uno sguardo che accompagna il movimento fissa l’attenzione e “disegna” la propria traccia; presupposto di una prima coordinazione.

Stefano oggi ha iniziato a saltare su due piedi e sale le scale con passi alternati… e questo…è l’inizio di un intervento psicomotorio funzionale.

 

Lapo Zoccolini
Psicomotricista Funzionale

La Psicomotricità Funzionale è una scienza che assiste ogni persona in ogni fase del suo svilluppo e la supporta in ogni tipo di difficoltà.
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