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In viaggio con Elena e Pietro: la Psicomotricità Funzionale in azione

Come lavora lo Psicomotricista Funzionale? Come si struttura il suo intervento di aiuto alla persona? Pubblichiamo il contributo della Dott.ssa Letizia Bulli, presidente ASPIF Associazione Psicomotricisti Funzionali,  enunciato in occasione del convegno ISFAR “L’uomo con la valigia…Viaggi e Viaggiatori nelle professioni di aiuto alla persona”.

 

 

Elena: il peso di una diagnosi

 

Il mio viaggio con Elena è iniziato nell’Agosto del 2014 mentre quello con Pietro nel Marzo del 2015. Alla partenza ognuno di noi aveva un bagaglio a mano, con dentro alcune cose… Nella valigia di Elena c’erano una serie di esperienze fatte con una collega di altro orientamento (fisioterapista), dove il trattamento era stato svolto in maniera parcellare, segmentaria questo vale a dire che durante le “sedute” di Elena solo le gambe e i piedi venivano manipolati. La stessa subiva passivamente piangendo qualsiasi intervento, la mamma di Elena era una donna fragile che si faceva carico insieme al padre di questo fardello: la frase presente più incipiente e ossessiva era “non camminerà mai”. Stiamo parlando di una bambina che all’epoca aveva 2 anni e 7 mesi, una bambina descritta dalla Neuropsichiatra infantile come oppositiva e non collaborativa. La sintesi funzionale riportava fedelmente queste parole

(…)si sono riscontrate difficoltà di adattamento della piccola al contesto con diffidenza nei confronti del nuovo ambiente e delle figure con cui è entrata in contatto, difficoltà di separazione dalla figura materna e messa in atto di comportamenti tirannici ed oppositivo-provocatori (…)”

una lista di NON, un elenco dove i punti di debolezza primeggiavano e non erano indicati i punti di forza su cui fare leva. Aveva nella valigia un “necessaire” molto poco efficace, la veglia e la disponibilità bloccate dalla struttura limbica che fino a quel momento aveva solo registrato delle esperienze negative da non riproporre. La funzione energetica affettiva era “dormiente”, ma nella mia valigia avevo uno strumento eccezionale, una “sveglia potente”, con un trillo assordante… partire dall’analisi funzionale.

 

 

 

L’analisi funzionale: potenzialità e disponibilità

 

L’analisi funzionale (Pesci, 2011; 2012) è uno strumento usato dagli Psicomotricisti Funzionali e si sviluppa su vari momenti: parte dall’indagine anamnestica, osservazione libera e bilancio – utilizzo di item di riferimento in ordine successorio limitando il più possibile il numero delle prove da effettuare. L’analisi psicomotoria funzionale motoria deve essere realizzata senza dover sottoporre a prove il soggetto e ancor più evitare l’uso di qualunque test; essa dovrà perciò essere soddisfatta stando insieme al singolo, riscuotendo dalla scopia ogni orientamento utile ad un impegno attuativo. In una bambina così piccola è ovvio che mi sono avvalsa maggiormente dell’osservazione libera andando a rilevare ciò che la bambina sapeva fare, le sue potenzialità e da queste partire. Ovviamente la postura seduta era la più consona per lei, visto la sua difficoltà a sostare in posizione eretta. La sua diagnosi, letta dopo l’osservazione, riportava queste parole Paralisi Cerebrale Infantile ad organizzazione diplegica. Di solito le diagnosi precedenti le leggo dopo avere eseguito la mia valutazione, perché preferisco evitare condizionamenti nella mia osservazione rischiando di non cogliere tutte le possibili variabili offerte dai bambini o adulti. Dall’osservazione erano emerse una serie di potenzialità: Elena si sposta spontaneamente nell’ambiente gattonando, con avanzamento degli arti inferiori alternato; ogni spostamento è finalizzato al raggiungimento di un obiettivo (un oggetto e/o una figura familiare); la bambina mantiene la posizione con il podice fra i talloni; con sostegno riesce a portarsi in posizione eretta; l’appoggio dei piedi avviene con posizione equina, valgo, pronazione e ginocchia semiflesse con base di appoggio allargata; con sostegno riesce anche a deambulare per lunghi tratti.

 

 

Motivazione e personaggio mediatore in un intervento di tipo globale

 

Durante i nostri incontri inizialmente è stata sempre presente la madre, Elena arrivava sempre con il suo pupazzo Topolino, talvolta scambiato con Minnie o altri personaggi. Per il mio intervento è stato importante partire dal suo interesse perché è ormai noto che noi lavoriamo sulla motivazione e la partecipazione attiva della persona con la messa in gioco della veglia intesa come disponibilità nei confronti dell’ambiente. Topolino era ed è ancora un ottimo mediatore per l’intervento di aiuto e di sostegno per Elena. Un’altra cosa importante era far capire ai genitori la qualità del mio intervento, la differenza fra educativo e riabilitativo, il fatto che non avrei agito solo sugli arti inferiori, ma su Elena nella sua globalità, che avrei rispettato i bisogni e i limiti che la bambina presentava nella relazione. E così è iniziato l’intervento, stazione dopo stazione stiamo attraversando continenti interi, Elena è uscita dal suo bozzolo e oggi è diventata una farfalla in grado di volare, ha riscoperto il piacere di sperimentare e di stare con gli altri.

 

 

Pietro: un fardello troppo grande

 

Pietro invece aveva con sé solo un piccolo zaino, al momento il bambino aveva 2 anni e 4 mesi, le sue esperienze erano fatte di vita quotidiana passata in famiglia e al nido. Tutti avevano notato questa sua difficoltà nello stare con gli altri, presenza di stereotipie con un ritardo nella strutturazione del linguaggio. Aleggiava sulle teste della famiglia una ghigliottina, SPETTRO AUTISTICO. Fortunatamente questa volta la Neuropsichiatra Infantile che l’ha visitata ha ritenuto opportuno sospendere la diagnosi e iniziare un percorso intensivo di Psicomotricità Funzionale.

 

 

La sospensione di giudizio contro ogni protocollo

 

Ho iniziato a vedere Pietro in presenza della madre due volte a settimana. Attraverso l’osservazione delle prime sedute ho potuto rilevare una serie di informazioni interessanti. Quando facciamo l’analisi funzionale in particolare sui bambini piccoli, come già detto prima, questa si basa sull’osservazione in situazione libera come unico strumento di rilevazione. Una riflessione sull’osservazione è quasi d’obbligo farla:  non è facile osservare, prestare attenzione a tutte le esperienze che le persone ci offrono… riuscire a cogliere tutti i particolari è una grande opportunità. È importante usare i nostri occhi come una telecamera registrando tutto ciò che passa davanti al nostro sistema visivo in sospensione di giudizio o proiezioni soggettive, evitando di cogliere solo quegli aspetti che vengono considerati soggettivamente interessanti, rispettare il significato di “oggettività” è difficile ma se ci impegniamo a raccogliere tutte le informazioni possibili, riusciremo a comprendere che talvolta la porta d’ingresso per l’intervento è nascosta fra una piega e l’altra dell’agire. La rilevazione delle potenzialità o delle abilità manifestate diventa fondamentale in particolare di fronte a quei soggetti su cui sono stati costruiti protocolli pre-confenzionati che non tengono conto dell’individualità con tendenza all’omologazione. I bambini non sono protocolli! Trattare i bambini cosiddetti “autistici” nella stessa maniera significa mancare loro di rispetto dimenticandosi della diversità e della ricchezza che ogni persona possiede. Il Viaggio con Pietro inizialmente è stato faticoso, siamo passati da un gioco individuale ad uno più coinvolgente, dove la reciprocità viene messa in atto, l’intreccio degli sguardi, la complicità nello stupore, nella scoperta di nuove possibilità ludiche esperienziali.

 

 

Un viaggio sempre diverso

 

Perché vi racconto di Elena e Pietro e non di altri “viaggiatori”? Questi due compagni di viaggio ben rappresentano due tipologie tanto differenti fra loro, un danno cerebrale una e una sospensione nella relazione l’altro. In tutti e due le esperienze siamo riusciti a fare un viaggio bellissimo, con buoni risultati. Tutto questo grazie a questa fantastica scienza che è la Psicomotricità Funzionale (Pesci, 2011; 2012), una metodologia che non confeziona interventi, ma costruisce processi, dove la crescita personale è agita da entrambi i protagonisti, tutti i viaggiatori sono coinvolti in un aggiustamento continuo e condiviso. Non credo che ci sia bisogno di entrare nella specificità dell’ attività, le proposte potevano variare dal silenzio, alla canzoncina, alla musica, all’uso di un pennello da barba o magari a giocare in assenza di materiali, le attività proposte venivano e vengono sempre costruite insieme, in base ai propri vissuti, alle proprie esigenze anche giornaliere. Sappiamo benissimo che ogni giorno può essere diverso dagli altri, così come i viaggi, anche se andiamo nello stesso posto, ad occhi attenti non sfugge un particolare mai notato prima, quindi ogni viaggio è una scoperta! Un principio fondamentale è che anche di fronte ad obiettivi funzionali stabiliti bisogna essere capaci di sapere come trovare la strada, e se, dobbiamo cambiare percorso, perché i nostri compagni di viaggio ce ne fanno richiesta. I quadri di Le Boulch sono la nostra guida, la nostra bussola, il nostro sestante e la nostra stella polare. A noi il compito di saper leggere.

Concludendo vorrei ricordare che tutti i viaggiatori, sia l’operatore che la persona “utente”, sono in continua fase di apprendimento reciproco ed entrambi iniziano un percorso che li porterà ad essere diversi da come erano all’inizio dello stesso.
Jean Le Boulch (Pesci, 2011; 2012)  diceva:

“un apprendimento può essere considerato tale solo se migliora la condotta della persona”.

Ed io concludo:

“Io non viaggio per andare da qualche parte, ma per andare… io viaggio per amore del viaggio… muoversi è la grande ricchezza e il viaggio continua”.

La prima parte della frase è di Robert Louis Balfour Stevenson la seconda è mia.

 

BIBLIOGRAFIA
Pesci, G. (2011). La psicomotricità funzionale. Scienza e metodologia. Roma: Armando Editore
Pesci, G. (2012). Teoria e pratica della psicomotricità funzionale. A scuola con Jean Le Boulch. Roma: Armando Editore

 

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