La violenza di genere è un fenomeno tanto drammatico quanto complesso: la Dott.ssa Benoni Degl’Innocenti ci racconta una storia difficile che dimostra quanto sia necessario offrire il giusto sostegno alle vittime di violenza e supportarle con competenza nel loro percorso di riappropriazione.
L’inizio di un percorso di uscita dalla violenza
Molte sono le storie di donne vittime di violenza, tutte diverse l’una dall’altra quante sono le donne, spesso con dei fili rossi che le uniscono per le modalità con cui la violenza si instaura e si perpetua. In questa sede vorrei portare uno spaccato di alcuni colloqui all’interno di un percorso di uscita dalla violenza presso un centro antiviolenza toscano. È il caso di Ornella, una signora italiana di mezza età che in seguito ad un colloquio con una conoscente in questura si rivolge al centralino telefonico della struttura per chiedere consigli su come comportarsi con il marito dal quale intende separarsi perché “la situazione è diventata insostenibile”. La signora lavora come donna delle pulizie e ha due figlie, avute da questo matrimonio. Durante l’accoglienza telefonica parla del marito come di una persona “molto gelosa”, “lunatica”, con un “carattere difficile”, che “per ogni cavolata si arrabbia e cambia umore facilmente”; la signora è reticente a nominare gli episodi di violenza fisica, sessuale e psicologica (mai denunciati) presenti e passati che inizialmente nega e poi afferma che ci sono stati e tutt’ora sono in essere, tendendo a minimizzarli anche se l’hanno condotta spesso al pronto soccorso. Nell’ultimo anno la situazione in casa è peggiorata tanto che i maltrattamenti sono aumentati per la gravità e la frequenza: un ultimo – racconta – è stato quando si è rifiutata di avere un rapporto sessuale con il marito e lui l’ha spinta fuori dal letto, lei è scappata in cucina e lui come avvertimento ha sbattuto la mano sulla porta di camera delle figlie. Ornella dice che ha paura di dirgli che “non prova più nulla” perché teme una sua reazione aggressiva, visto che in passato ha tentato di dichiarargli la sua volontà di interrompere la relazione e lui l’ha minacciata di morte (“se scopro che hai un altro, io ti ammazzo”). Si sente sfinita psicologicamente e dice che fino ad ora è rimasta insieme a lui per tenere unita la famiglia, ma che ora sente con il sostegno delle figlie che la cosa migliore è la separazione. La signora dice di essere disorientata dagli atteggiamenti contradditori del marito (per esempio lui le vieta di andare in palestra e il giorno dopo dice che era uno scherzo) tanto che si sente sempre in errore e non sa più come comportarsi; ha paura e si colpevolizza per l’accaduto (“mi sento forse che la colpa è mia”), credendo di essere lei nel torto. Alla base di questa relazione ci sono condizioni di valore che fanno sì che Ornella accetti il perdurare dei maltrattamenti, sminuendone l’importanza (“non si abbandona mai il marito”, “una brava moglie si occupa del coniuge nella buona e nella cattiva sorte”, “una donna deve dire sempre di sì alle richieste del proprio uomo”).
Il primo incontro con Ornella
Durante il primo incontro emerge la stessa modalità distante e difesa della telefonata: Ornella parla della sua situazione alterando i fatti, allontanandosi dalla sua reale esperienza e dunque da una presa di consapevolezza; per proteggersi dalla grande sofferenza ne parla come fosse una separazione di una coppia che non si ama più anziché un rapporto violento che dura da anni dal quale adesso tenta di imboccare un percorso di uscita. Infatti di fronte alla richieste di descrivere avvenimenti e contatti violenti, è disorientata su che cosa si intende per violenza. Quando, riportandola ad un piano di realtà, le viene ricordato che ha chiamato un centro antiviolenza e vengono nominati i comportamenti violenti dicendo che questi non sono mai legittimi, la donna si sente compresa e non giudicata per quello che sta vivendo e ritorna al reale motivo che l’ha condotta allo sportello. Non minimizzando la sua esperienza, ma dando valore a ciò che narra, Ornella inizia ad aprirsi e descrive il maltrattamento che ha visto coinvolta lei e le figlie e rivela della costante violenza domestica alla quale ha assistito nell’infanzia. Racconta adesso in modo più consapevole che è arrivata al punto di credere che quello che lui le ha fatto non è violenza e afferma che lui non fa che svalutarla continuamente come donna per renderla più insicura e senza potere personale in modo da controllarla e da tenerla con sé (per esempio “la signora si veste da ragazzina”, “inizia ad atteggiarsi alla sua età”, “lei deve fare la puttana”, “hai la cellulite” ,“rifatti il seno”); conosce anche le modalità dell’uomo di riavvicinarsi quando avviene il suo distacco. Ornella conosce tutto razionalmente, ma le emozioni di rabbia, paura, disperazione, fallimento sono tenute lontane, non possono essere espresse perché ancora non è il tempo e forzarla a sentirle sarebbe destrutturante in un processo così delicato.
La signora appare molto magra e trascurata nell’aspetto; soffre di colite e di emicrania che si accentua dopo gli episodi di violenza; racconta inoltre che aveva smesso di fumare con grande sacrificio, ma che purtroppo per causa di lui ora ha riiniziato vivendo ciò come una grave sconfitta.
Il marito, racconta la donna, ha subito violenza dal padre quando era piccolo e appare come una persona fragile, impulsiva, imprevedibile, facilmente irritabile, violento con lei, con le figlie e anche con terzi; sembra che abbia sempre una giustificazione per agire e rivolgersi in modo violento, facendola sentire in colpa e perpetuando il controllo su di lei, svilendola ed umiliandola continuamente; le continue offese, umiliazioni e botte sono diventate routine tanto che hanno portato Ornella a normalizzare gli atteggiamenti violenti e a sopire quello che sente, ad anestetizzarsi come essere umano pur di avere considerazione positiva e mantenere una relazione con l’uomo che un tempo amava. L’evento che sembra l’abbia fatta riflettere su ciò che vive e l’abbia portata ad avere una prospettiva più centrata su di sé è stato l’apprezzamento come persona e come donna che ha ricevuto da alcune amicizie che si è costruita dalla frequentazione della palestra, che hanno dunque disconfermato le attribuzioni di disvalore dell’uomo e l’hanno fatta uscire dal senso di solitudine.
Nei colloqui successivi la signora riferisce di aver contattato un avvocato per procedere alle pratiche per la separazione e comunica al marito che se ne vuole andare via di casa perché “è finita” e non perché lui è violento, un modo per non prendere contatto con il suo vero sé e a mantenere l’incongruenza; di fronte a tale decisione immotivata agli occhi dell’uomo, si assiste ad un escalation della violenza che culmina in un alterco in cui lui arriva a minacciarla con un paio di forbici (“se scopro che te hai un altro ti puoi scavare la fossa”). Il marito non avverte di fare violenza tanto che secondo la sua versione non ha mai agito maltrattamenti, ma semplicemente dice che è nervoso e si arrabbia, sgravandosi così di ogni responsabilità: se sua moglie se ne va via di casa è perché probabilmente ha trovato un altro uomo e non perché lui la terrorizza e la picchia. Ornella racconta che in casa alla tempesta si sostituisce ciclicamente la quiete apparente e le suppliche di tornare indietro sulla sua decisione, la promessa che cambierà.
La signora racconta tutti questi accadimenti come fossero un elenco della spesa da vomitare in modo confuso e disordinato cronologicamente, come se non la riguardassero in prima persona. Il pericolo al quale sta sottoponendo lei e le figlie è alto, bassa è la consapevolezza e dunque anche le misure autoprotettive ed eteroprotettive adottate.
Allo scopo di tutelare l’incolumità sua e delle figlie e in modo da farle comprendere l’oggettivo rischio a cui sono esposte, viene confrontata nuovamente con quello che sta accadendo, ribadendo la differenza tra lasciarsi perché non si è più innamorati e lasciare un uomo maltrattante del quale una donna si disinnamora. Ornella intuisce il discrimine, ma la sua percezione “istintiva”-protettiva si ferma al fatto che l’amore non c’è più, senza scorgere la radice della prepotenza; sembra vivere una dissonanza interna che le fa alternare momenti di consapevolezza della gabbia nella quale sta vivendo, a momenti in cui prova affetto e dispiacere per il marito e vorrebbe riaverlo accanto; mai però si mostra arrabbiata, delusa, triste o ferita: le emozioni sono sempre coartate.
Un cammino tortuoso per la riapropriazione di sè
Gli incontri proseguono e la violenza non cessa, bensì la pericolosità aumenta in quanto il marito arriva a metterle le mani al collo per soffocarla, con la giustificazione stavolta che non gli aveva fatto gli auguri per il suo compleanno. Accade però che debba assentarsi alcuni giorni per andare all’estero e sente in questa parentesi la leggerezza e la gioia di una vita che scorre nella quotidianità senza ricatti e aggressioni, ma con tranquillità e serenità ritrovata per lei e le figlie (“Siamo rinate”); riesce così grazie anche ad un clima meno inquinato e che facilita una corretta simbolizzazione dell’esperienza e il contatto con i suoi bisogni, ad essere maggiormente consapevole della logica di potere e controllo adottata per poterle tenere a sé. Ornella compie il suo percorso con andate e ritorni, con i suoi tempi e le sue difese, talvolta si ascolta e sente che è vittima e talvolta non lo fa perché è difficile ammettere a sé stessa che la violenza ha travolto proprio lei e il senso di fallimento e delusione conseguente. Analizza il comportamento dell’uomo e vede congruentemente la manipolazione in atto: racconta infatti che spesso tiene in scacco la famiglia andandosene di casa per l’intera giornata e non facendo sapere niente di sé, vincolando così tutti a non muoversi perché dipendenti dal suo permesso per uscire; sottolinea inoltre come siano inaccettabili i suoi atteggiamenti possessivi e controllanti, quando le figlie chiedono di andare ad una festa e lui dopo mille risposte discordanti faccia passare infine il suo assenso come benevola concessione. Dopo le continue richieste di Ornella che però non vuole cedere alla sua decisione di allontanarlo, l’uomo trova un’altra sistemazione e lascia la casa, ma il distacco mentale e fisico di fatto non avviene poiché con ogni scusa lui torna e supplica la donna di riaccoglierlo, mostrandosi vittima di una ingiusta decisione (“mi manchi… ho la tua foto nel cassetto e la bacio tutte le sere prima di andare a letto”). Grazie ad un clima accogliente e di ascolto, prova a mettere a fuoco maggiormente ciò che la attraversa e dice di sentirsi in bilico tra due sensazioni: quando lui non c’è avverte il senso di autonomia e liberazione, la possibilità di riprendersi in mano la propria vita e fare le cose che ha sempre desiderato e quando lui si riaffaccia fa riaffiorare in lei la paura, i sensi di colpa e la riporta a sentirsi a ragione vittima e ad avallare le sue azioni; si sente disorientata dai cambiamenti in atto, dalla direzione da percorrere più salutare per lei e le figlie, è spaventata di essere protagonista del suo futuro, fino ad oggi disposto da un altro. La donna dà voce agli effetti traumatici della prevaricazione subita, al suo senso di smarrimento, di vulnerabilità e alla difficoltà a ricostruirsi come persona libera con una metafora: “Mi sento come uno che è stato condannato ingiustamente e d’un tratto mi hanno dato la libertà e adesso ho paura di uscire”. Allo stesso tempo prova a seguire la sua tendenza attualizzante ed è più permeabile a confrontare la sua esperienza con quella che vivono altre coppie; è pervasa dalla speranza che le cose possano cambiare e dal desiderio di tornare ad occuparsi del suo benessere: progetta, grazie all’aiuto di un amico, di andare al centro per l’impiego per trovare un nuovo lavoro, pensa di uscire liberamente con le amiche e andare a cena fuori, infonde inoltre coraggio alle figlie che temono di affrontare il padre, invitandole a non aver paura e a dirgli ciò che pensano.
L’incontro successivo Ornella ritorna nuovamente ad allontanarsi da sé e non mette in atto le misure di protezione suggerite, esponendosi così all’ennesima opportunità del marito di farle del male: racconta infatti di un episodio avvenuto in strada dove lui, adirato per dover chiudere un conto corrente cointestato, la butta con una spinta per terra e le getta addosso la bicicletta; lei dopo essere stata difesa e soccorsa da alcuni passanti torna a casa, ma lui la insegue in macchina chiedendole in lacrime perdono; l’uomo entra poi nell’abitazione con il pretesto di prendere le ultime cose, opportunità che lo porta ad alimentare il suo dominio su di lei. In seguito a quanto accaduto si è recata dai carabinieri per sporgere una denuncia che poi non ha concretizzato poiché temeva di creare problemi giudiziari al marito.
Ad oggi non conosciamo come proseguirà la storia di Ornella. Sappiamo solo che sta lottando per riappropriarsi della vita che desidera e che si sono attivati i processi per ripartire da sé stessa.
Conclusioni
Il trauma della violenza genera nelle vittime vergogna, isolamento, stigma; è possibile però ritornare ad avere un ruolo attivo, seguire naturalmente il migliore sviluppo di sé stessi, spezzando i legami che fanno inaridire. La richiesta di essere aiutate rappresenta il primo incoraggiante segnale del desiderio di diventare agenti di scelta libere e responsabili e il lavoro clinico su sé stesse permette di avviare processi che consentono di riprendere progressivamente contatto con percezioni e desideri personali, cercando di ripristinare un ordine interno nel caos emotivo. L’attenzione dunque di chi si muove in questo delicato ambito di lavoro è quella di facilitare la donna nel suo processo di empowerment, bilanciando al contempo protezione e sostegno senza sostituirsi ad essa, ma dandole fiducia e accettando il suo modo di essere senza se e senza ma. Consapevoli delle dinamiche per cui nelle donne maltrattate sopraggiunge l’incongruenza e l’ambivalenza, ha ancora più valore offrire una relazione alternativa basata sul calore umano, sul rispetto, sulla comprensione dei vissuti, sull’ascolto che, oltre ad avere una funzione riparativa, favoriscono l’apertura all’espressione emozionale e una maggiore fiducia nelle relazioni future, abbassando così la percezione di minaccia e dunque le difese. Fare questo significa comprendere da dentro una relazione apparentemente illogica e strana.
Dott.ssa Valentina Benoni Degl’Innocenti
Psicologa Psicoterpeuta
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