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Suicidio in adolescenza: il Progetto Psychaché

Giovanna Bronzini, Psicologa – Psicoterapeuta di Rovereto (TN) racconta il suo appassionato impegno nella promozione di un progetto di prevenzione “peer to peer” sul tema del suicidio in adolescenza.

 

Perché nel nord est?

Perché il nord-est è statisticamente la zona d’Italia più funestata dai suicidi specialmente di adolescenti. Io abito a Rovereto, provincia di TN e la mia città non fa eccezione.

Questi eventi che si sono succeduti in questi anni mi hanno portata a riflettere su “dove siamo noi adulti” rispetto a questi adolescenti dall’animo fragile sempre più spinti verso una competizione che fa loro perdere il senso di ciò che stanno facendo ed il perché.

Ma ciò che mi ha portata maggiormente a riflettere ed a decidere di prendere qualche iniziativa è stato il sentire un gruppo di adolescenti, parlare di un volo dal ponte a 17 anni, come di un atto eroico: “Sapere che muori e farlo lo stesso è il massimo del coraggio” – li ho sentiti commentare ed ho pensato che un tale pensiero sui social avrebbe potuto dare origine ad una strage.

 

L’idea

Di mestiere faccio la psicologa-psicoterapeuta ormai da una vita e non posso essere insensibile al disagio, al dolore ed agli eventi sociali che da ciò possono derivare.

Ho pensato innanzitutto al silenzio che avvolge questi eventi.

Giustamente i giornali quasi sempre non ne parlano perché non si può fare cronaca sul dolore, ma l’evento corre di bocca in bocca, specialmente in una città piccola come la nostra, dando parole a banalità, luoghi comuni, giudizi, conclusioni azzardate.

Ma allora perché non creare uno spazio adeguato a parlarne, spazio dove poter riflettere sollevando il giudizio contenendo la paura?

 

Progetto Psychachè

Nasce così nel 2019 il “Progetto Psychachè” – Il dolore mentale – che ha dato vita inizialmente ad una serie di conferenze pubbliche informative per gli adulti.

In una di queste alcune persone del pubblico hanno trovato il contesto per dare voce a degli eventi di cui non erano mai riusciti a parlare.

In particolare, un’insegnate, Maria Frapporti, ha parlato del lutto di una sua alunna, anche lei volata dal ponte, lutto che ancora la tormentava per non aver visto al di là della cattedra e dei voti.

Fondamentale è stato poi l’incontro con il regista Michele Comite, sempre attento ai problemi sociali e noi tre insieme siamo diventati una squadra.

Abbiamo quindi aperto un laboratorio teatrale dove i ragazzi/e potevano liberamente accedere e liberamente parlare. Li abbiamo fatti riflettere, osservare, interrogare genitori, insegnanti, compagni e, dalle loro parole, cucite in modo magistrale dal regista, ne è nato lo spettacolo BUNKER che abbiamo portato in scena già 12 volte.

Spettacolo duro, che prende lo stomaco, che mette in luce senza ipocrisie luoghi comuni, banalità, giudizi, la mancanza di confini tra genitori e figli, l’eccesso di protezione, la delegittimazione della scuola, il dolore che non riesce a diventare parola.

 

I prossimi passaggi

Alla fine, emerge però forte un messaggio di speranza che indica le strade per chiedere aiuto.

Alcune scuole superiori ci hanno aperto le porte ed io insieme all’insegnante Frapporti abbiamo costruito un percorso di educazione civica per parlare del disagio che può portare anche alla rinuncia alla vita.

Alla facoltà di Sociologia di Trento abbiamo tenuto un seminario per illustrare questo lavoro, riscontri ci stanno arrivando anche da altre Province del nord-est.

Vedremo quale potrà essere l’evoluzione futura ma noi abbiamo  formato una squadra e… ci siamo!

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